Offagna http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna Mon, 25 Jan 2016 13:22:16 +0000 Joomla! - Open Source Content Management it-it simonedigrandi.ag@gmail.com (La Memoria dei Luoghi) ALESSANDRO MALACARI MISTURI E GIOVANNI BATTISTA BOSDARI DUE PROTAGONISTI OFFAGNESI DEL RISORGIMENTO ITALIANO http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna/336-alessandro-malacari-misturi-e-giovanni-battista-bosdari-due-protagonisti-offagnesi-del-risorgimento-italiano http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna/336-alessandro-malacari-misturi-e-giovanni-battista-bosdari-due-protagonisti-offagnesi-del-risorgimento-italiano Uno straordinario ritratto di due personaggi del Risorgimento italiano curato dal prof. Fabrizio Bartoli con splendide immagini di reperti custoditi ad Offagna.]]> fedecandelaresi@libero.it (Federica Candelaresi) Offagna Thu, 29 Oct 2015 16:56:47 +0000 EVARISTO BRECCIA UN UOMO, UNA STORIA di Pier Roberto Del Francia http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna/335-evaristo-breccia-un-uomo-una-storia http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna/335-evaristo-breccia-un-uomo-una-storia BIOGRAFIA FAMILIARE

Annibale Evaristo Breccia, nato a Offagna il 18 luglio 1876 morto in Roma il 28 luglio 1967. Il padre Cesare Breccia morì nel 1925. La sua morte è ricordata in una lettera del Vitelli a Breccia dello stesso anno. Effettuò gli studi secondari a Jesi, e si laureò con Julius Beloch a Roma nel 1900, con una tesi   di   storia antica, intitolata: Il diritto dinastico nelle monarchie dei successori di Alessandro Magno, che venne subito pubblicata.

Nello stesso anno Breccia conseguì i Diplomi di Magistero (Sezione Letteraria e Sezione Storico-Geografica), vincendo poi la borsa di Studio per la Scuola di Archeologia. Conobbe all’università di Roma Paolina Saluzzi, nata a Nicosia (Catania), nel Gastone, laureatosi in legge, a Pisa con una tesi sulle “Unioni Internazionali”, nel 1936, aveva conseguito una borsa di studio a Praga nel 37-38. Al ritorno in Italia aveva conseguito nel 1938 una seconda laurea in Scienze politiche e sociali, presso la Cesare Alfieri di Firenze, con una tesi sulla costituzione indiana. Si tolse la vita nel 1958. Tutte queste notizie, altrove non reperibili, con pari esattezza e cospicuità, sono tratte dal prezioso regesto della corrispondenza di Breccia ed altri intitolato Cinquantanni di papirologia in Italia, Carteggi Breccia - Comparetti - Norsa Vitelli, realizzato da Donato Morelli (allievo di Breccia) e da Rosario Pintaudi, carissimo amico nostro e di noi più giovane, papirologo, cattedratico a Messina, curatore dell’edizione dei papiri Laurenziani e di quelli Praghensi, nonché di una pregevole collana di studi papirologici.

I carteggi di Breccia nonché una cospicua raccolta di documenti fotografici attestanti la dì lui attività di scavo in Egitto, vennero legati dopo la sua morte dalla moglie alla cattedra di Egittologia dell’università di Pisa. e la morte prematura di un figlio è evento tale da poter coinvolgere la mente dei genitori, quella voluta non può non recare oltre al dolore per la perdita della propria discendenza, un evidente senso di colpa e dì inutilità della propria esistenza. ciò si deve sicuramente l’estrema decisione assunta da Breccia el luglio 1967, che configurasi sia come estremo desiderio di aggiungere chi l’aveva preceduto nell’arduo cammino.

Se la morte prematura di un figlio è evento tale da poter sconvolgere la laureatasi anch’essa con Beloch, nello stesso anno 1900, con una tesi Sui prezzi in Egitto nell’età tolemaica.

Evaristo e Paolina si sposarono nel 1901 a Roma, ove nacque il primogenito di Breccia Valfrido, nel 1902.

*Nel 1903 ottenne, per titoli ed esami, la Libera Docenza in Storia Antica, presso l’Università di Roma (27-2~903)*

*Nel 1904, 26 2, conseguì il diploma di maturità negli studi archeologici (R. Scuola Italiana di Archeologia). Nel 1906 si segnala la nascita del secondogenito, Alessandro, laureatosi in Roma con una tesi su Il porto di Alessandria di Egitto; divenuto poi Dirigente presso il Credito Italiano, morto un anno dopo il padre nel 1968. Nel 1908, nacque Eisa, unica femmina, che negli anni ‘~80 risultava essere ancora in vita e residente in Firenze.

Nel 1915, nacque, in Alessandria d’Egitto, il quarto figlio, Gastone, che sembra essere stato il più caro al padre, la di lui discendenza si compone di due figli:

Paolo nato nel 1941, oggi regista cinematografico e televisivo.

Umberto, nato nel 1943, professore, a Pisa, di Istituzioni di diritto Privato fin dal 1978.

mente dei genitori, quella voluta non può non arrecare oltre al dolore per la perdita della propria discendenza, un evidente senso di colpa e di inutilità della propria esistenza. A ciò si deve sicuramente l’estrema decisione assunta da Breccia nel luglio 1967, che configurasi sia come estremdesiderio di raggiungere chi l’aveva preceduto nell’arduo cammino.

Già nel 1959, infatti, Breccia aveva esaurito la propria ragion d’essere scrivendo in memoria del figlio Uomini e libri e raccogliendone gli scritti sparsi in un volume che uscì nello stesso anno sotto il titolo di Diario senza note (Pisa 1959).

Poi dovette sopravvenire il senso del disincanto e dell’inutilità dell’esistere cui non potettero sopperire la presenza della consorte e degli altri figli e nipoti.

Fin qui quanto, e non è molto, della vita privata dell’uomo reperibile attraverso i documenti in nostro possesso.

Facile ma poco significativo sarebbe estrapolare dall’epistolario notizie di minor conto inerenti episodi minimi relativi al periodo dell’ultima guerra o agli inviti rivolti agli amici più cari a trascorrere periodi di vacanza a Jesi o ancora accenni alla vita dei figli, soprattutto di  Valfrido, ma poco arrecherebbero nuova luce tali notizie alla comprensione dell’uomo che appare assi legato alla famiglia e al tempo stesso volutamente distaccato dai figli, come spesso accade, per il pudore dei sentimenti e per una apparente rigidezza che allontana da sé in vista di una conquistata o da conquistarsi autonomia atteggiamenti che appaiono inoppugnabilmente giusti fintantoché la commedia della vita non volga in tragedia.

BIOGRAFIA PUBBLICA

Converrà ora però attenersi alla memoria della vita pubblica del nostro Breccia.

Questa si intreccia con l’esistenza di innumeri altri personaggi di spicco del mondo culturale dell’epoca, personaggi ai quali, in parte, Breccia rimase legato nel corso della sua lunga esistenza e che vennero meno, quasi tutti, prima di lui, contribuendo, indubbiamente, a lasciare nell’uomo un senso di vuoto insopprimibile.

Inizieremo accennando a Girolamo Vitelli. Nel 1902 G. Vitelli ottiene dalla Accademia dei Lincei l’incarico e il finanziamento per acquistare papiri in Egitto. Vi si reca accompagnato da Breccia, che metteva anch’egli piede per la prima volta in Egitto, nel 1903.

Vitelli potè acquistare, in questa occasione, un certo numero di papiri, al Cairo presso l’antiquario Maurice Nahman e a el-Giza da due mercanti di antichità (Faraq Ali e Ali el-Arabi).

Breccia, il cui viaggio era stato finanziato personalmente da Comparetti, venne posto, sotto la guida di Schìaparelli, alla direzione del primo scavo italiano volto alla ricerca di papiri a Ghizeh e ad el- Ashxnounein (Hermoupolis Magna). (cfr. ‘Ermou polis e megale, edito nel 1905). Qui Breccia lavorò da marzo ad aprile ricavando 12 cassette di materiale papiraceo e dovendo contendere il terreno ai tedeschi che sostenevano di avere un diritto di priorità.

La scarsità di rinvenimenti di testi letterari lasciò perplesso il Comparetti il quale riteneva decisamente più opportuno procedere per acquisti ed abbandonare gli scavi, di avviso contrario erano Vitelli e Breccia. Vitelli si adoperava, quindi perché i Lincei procurassero fondi per gli scavi della stagione seguente.

Il progetto venne ostacolato dalla morte di Giuseppe Botti, fondatore e direttore del Museo di Alessandria, (ottobre 1903). Da parte italiana si faceva conto che la direzione del Museo di Alessandria, da Botti, istituito, andasse ad un italiano. Venne quindi presentata la candidatura di Breccia, che alunno della Scuola Arch. di Roma, e già libero docente di Storia Antica, presso il medesimo Ateneo, si trovava allora ad Atene ove stava completando il terzo anno di studio, dopo esser stato in Egitto e a Creta.

La storia del concorso sostenuto da Breccia e la sua vittoria su altri 17 concorrenti è troppo intricata perché meriti che se ne faccia un esatto rendiconto. Basterà dire che si adoperarono a favore di Breccia il Marchese Salvago Raggi, rappresentante italiano al Cairo, il Vitelli che fece pressioni su questi e sui consoli Toscani e Iona e che ebbe uno scontro con il sottosegretario agli esteri Guido Fusinato ritenendo che il suo appoggio a Breccia fosse troppo tiepido. (1)

Sta di fatto che il i aprile 1904 Breccia assunse la carica di direttore del Museo.

Nel Gennaio di quell’anno Vitelli era partito per l’Egitto, fermamente convinto che si dovessero proseguire gli scavi a elAshmunein e che la direzione ne fosse affidata a Breccia. Lo scavo, tuttavia venne rinviato al 15 marzo, dato il ritardo con cui Schiaparelli pervenne in Egitto, e Breccia venne sostituito da tal Giacomo Biondi. Il risultato fu alquanto deludente e non potendosi più contare su Breccia gli scavi negli anni seguenti vennero sospesi (2).

Occorre qui trattare brevemente dell’opera di Vitelli e di Angiolo Orvieto a favore della ricerca dei papiri in Egitto, in quanto si riconnettersi seppure a distanza di oltre venti anni con l’attività di Breccia in Egitto.

Orvieto lanciò l’idea, dalle pagine del Marzocco di una sottoscrizione finalizzata all’esecuzione di ricerche di papiri in Egitto dal momento che gli acquisti dei medesimi non apparivano pienamente soddisfacenti (gennaio 1908). Dati i risultati della sottoscrizione nel 1908 stesso (1. giugno) si costituì la Società Italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto, ente morale finanziato con i contributi dei soci, presidente A. Orvieto. Nei cinque anni successivi la Società scavò in Egitto con buoni risultati, alla direzione degli scavi era il padre scolopio

  1. E. Pistelli, pr ord. di lingua latina e greca alla facoltà di lettere di Firenze. La campagna del 1914 fu l’ultima prima del conflitto. Nel 1928 la Società veniva sciolta e il suo posto veniva preso dall’Istituto Papirologico Fiorentino. Nel 1927, essendo venuto a mancare il padre Pistelli, Breccia assunse l’incarico di direttore delle campagne di scavo della Società e venne nominato, anche, delegato, prima della Società stessa, poi dell’Istituto, in Egitto.

Converrà prima di procedere all’esame dell’attività di Breccia quale fiduciario dell’Istituto, fare un passo indietro ed esaminare la sua attività quale direttore del Museo di Alessandria.

La storia della nascita di questo Museo rende conto delle difficoltà che Breccia dovette affrontare in quanto prosecutore dell’opera del suo fondatore, Giuseppe Botti (I, per distinguerlo da altro più giovane dello stesso nome). Questi, inviato nel 1889 in Egitto a dirigervi le scuole italiane (la comunità italiana di Alessandria era assai numerosa), si dedicò allo studio ed alla ricerca delle rovine della città antica maturando l’idea di istituire un Museo greco-romano, che già nel 1892 risulta esser realizzato, allogato allora in stanze prese in affitto in rue Rosette e poi trasferito, prima della morte del Botti stesso, in una sede propria, e comprendente 16 sale.

In tale attività Botti era stato coadiuvato da Silvio Beghè (18511903), padre di quel Gino Beghè che sarà a tempo debito coadiutore di Breccia.

Si deve notare che già l’anno dopo il suo insediamento alla direzione del Museo e cioè nel 1905 Breccia risulta esser Incaricato dell’Ufficio di Ispettore Capo del Service des Antiquitées per un parte del Basso Egitto, il che comportava, come vedremo, la tutela del territorio e l’esecuzione di scavi archeologici.

Nel 1908, inoltre, Breccia venne chiamato a far parte del Comitato esecutivo del 20 congresso Internazionale d’archeologia. Nel 1911 venne poi delegato dal Gov. Egiziano e dalla Municipalità di Alessandria a rappresdentare i medesimi presso l’esposizione archeologica di Roma.

Una carriera, se vogliamo, rapida e brillante, di cui Breccia appare giustamente fiero quando riporta il proprio curriculum nella lettera al Comparetti del 29 aprile 1913, indirizzato, ci pare di capire, ad ottenere la nomina a socio dell’Accademia dei Lincei, a cui sembra tenere moltissimo (lettera a Comparetti del 3-1-1913). Si tratta di debolezze umane perdonabili a chiunque.

Dal 1920 Breccia, inoltre, coadiuvò, con G.Farina e Pietro de Franciscis, Aristide Calderini nella redazione della neonata rivista di papirologia, ed egittologia, italiana, Aegyptus.

Nel corso degli anni, dal 1904 al 1932, Breccia, stante la sua qualifica di Ispettore Capo del Service si trovò ad intraprendere numerosi scavi sia in corrispondenza dell’area alessandrina sia in zone a questa in qualche modo afferenti geograficamente.

 -  Il primo di questi interventi concerne la necropoli di Sciabti, tolemaica, sita nei pressi del porto est di Alessandria, notizia preliminare dei lavori venne data nel 1906 in La necropoli di Sciabti: primo rapporto provvisorio, in «Bulletin de la Société archéologique d’Alexandrie», VIII, p.55.

- Seguirono nel 1905-1906 scavi in corrispondenza del presunto Serapeum (cfr. Les ffouilles du sera peum d’Alexandrie en 1905— 1906, Annales 1907)

- Quindi la scoperta di un Ipogeo cristiano nella zona di Iladra (cfr. Un ipog’eo cristiano ad Hadra, in (“Bulletin de la Société archéologique d’Alexandrie”, 1909, Il, 3, p.278)

- E scavi sistematici nella suddetta necropoli di Iiadra (cfr. Fouilles de I-ladra, in <Rapport» 1912

- Si noti, inoltre, che a partire dal 1908 il Museo di Alessandria ebbe il compito di tutelare le rovine del monastero di San Mena, con l’aiuto del Service, messe in luce fra il 1904 e il 1908 dalla Missione Kaufmann.

- Nel Fayyum Breccia affrontò gli scavi di Teadelfia, (cfr. Theadelphia

Studi I, in (“Bulletin de la Société archéologique d’Alexandrie”, IV, 2, 1917, p.91).

Ho citato solo alcuni degli interventi operati fra il 1905 e il 1917 poiché è mia intenzione riprendere l’argomento in maniera più diffusa a conclusione del periodo in cui Breccia diresse il Museo di Alessandria, e perché mi interessava far notare come Egli si dimostrasse anche abile divulgatore, pur sempre non abbandonando il taglio scientifico e come trovasse parimenti il tempo per impostare e curare una Collana di pubblicazioni intitolata + sullo schema del Catalogue Générale du Musée du Caire.

Per quanto concerne le opere divulgative del 1912 , è Alexandrea ad Aegyptum, A guide to the ancient and modem town, and its graeco-roman museum. (Bergamo, Istituto di Arti grafiche, 1912, pp. XI-368), riedita in francese due anni dopo.

Seguiranno nel tempo, ad esempio: Faraoni senza pace, (Napoli, Loffredo, 1939 pp. XI-259, tavv.23) e Egitto greco e romano, (Pisa, Nistri—Lischi 1957, pp.229).

Nel 1928 Breccia potè seguire il Re Fuad nella sua visita ufficiale all’oasi di Siwa e ce ne ha lasciato un documentato resoconto illustrato da numerose fotografie. Il Re aveva una propensione indubbia per gli italiani essendo stato a lungo, da giovine in esilio a Torino, a ciò si  deve forse, l’aiuto finanziario che Breccia ottenne spesso da questi per gli scavi di Alessandria.

 Al di là dei riconoscimenti cui si è accennato ed altri numerosissimi, fra i quali nel 1926 la promozione da Membro Corrispondente a Membro Ordinario della Accademia dei Lincei (1913), conseguenti ad indubbi meriti organizzativi e scientifici, resta da vedere quali fossero le difficoltà che Breccia dovette affrontare nel condurre innanzi la propria attività di Direttore del Museo di Alessandria e di Ispettore Capo per il Basso Egitto.

Che le difficoltà fossero sempre all’ordine del giorno desumiamo da Le Musée Greco Romain d’Alexandrie 1925-1931 (1932), opera pubblicata quasi contemporaneamente alla rinunzia all’incarico di direttore del Museo di Alessandria, là dove il Breccia lamenta, ad esempio ed a ragione, di non disporre di magazzini e di dover utilizzare come tali molte sale e gli uffici e la biblioteca, che già non bastano ai propri compiti (p.13).

Appare chiaro, tra l’altro, che un certo numero di interventi di scavo si conformavano alle necessità dettate da opere pubbliche. E’ il caso del rinvenimento di una necropoli romana a Abukir (inverno 1925—26) a seguito del livellamento del terreno ordinato dal principe Omar Toussun, oppure della scoperta di resti di strade di epoca romana durante i lavori di ampliamento della strada per Abukir, in corrispondenza delle colline di Hadra— Ibrahimieh, che consentono di recuperare anche piccole sculture, anfore, monete imperiali.

Ancora, nel 1930 lungo la strada Ottaviano Augusto si ha un ritrovamento fortuito di monete doro romane e gioielli, mentre dalle cave di sabbia a destra e sinistra della strada per Abukir emergono cisterne e pozzi in mattoni crudi. I lavori di terrazzamento consentono di recuperare capitelli corinzi trasferiti al Museo.

In altri casi si tratta invece di scavi mirati, per i quali talora sovviene, come si è accennato, la generosità del re (Fuad I), come nel caso delle ricerche nell’area che Breccia ritiene occupata dai templi di Iside e Osiride, a sud del forte Tewfik, presso Abukir. Da questo scavo risultano frammenti di statue e resti di un grande basolato con colonne.

Nello stesso anno scavi presso il presunto SerapeuJii mettono in luce una piscina e i resti di uno stabilimento termale.

Ancora, scavi a Noustafa Pacha (Necropoli di Moustapha), sulla collina Breccia ritiene sorgesse un Iseo, in base alla presenza di una statua di Iside rinvenutavi nell’ante—guerra e donata a Lord Kitchener. In un giardino limitrofo tra l’altro, è emersa una necropoli che Breccia ritiene essersi sviluppata attorno al santuario di Isis-Cerere.

Durante il 1925-26, scavi ad Hadra, cimitero tolemaico del tipo di quello di Chatby: stele dipinte, urne cinerarie, etc. Dopo 5 gg. di lavoro una stele dipinta, quindi una cameretta, con loculi e nicchie, chiusi con pseudoporte dipinte, corridoio adiacente con loculi, uno pare occupato da un turrenos. In altre tombe ebrei e greci. Molte statuette. L’area del cimitero venne in seguito occupata da un quartiere di abitazioni come dimostrano i pozzi e i resti di una cisterna (3). Non procederò oltre, troppo da vicino questa situazione ricorda quella in cui viene ancor oggi a trovarsi chiunque debba tutelare il patrimonio archeologico esistente in aree di edificazione storica o di espansione abitativa, e riprenderò rapidamente a trattare dell’attività di Breccia in rapporto alla Società Italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto. Morto, come già si disse, nel 1927, il padre Pistelli, Breccia assunse l’incarico di direttore delle campagne di scavo della Società e venne nominato, anche, delegato in Egitto, prima della Società stessa, poi dell’IstitutO Papirologico che ne prese il posto.

Per conto dell’Istituto Breccia, nel 1927-28, diresse scavi a el-BahflaSa (OssiriflcO), nel 1828-29 a Um el Breigat (Tebtunis), nel 1929-30 e 1930-31, di nuovo a Ossirinco e così pure l’anno seguente quando si ottenne di poter spostare dal kom Ali-GaIlUflan la tomba del santofle che ne impediva lo scavo. Questa campagna ebbe eccellenti risultati dal punto di vista del rinvenimento di papiri. La campagna venne ripetuta anche nel 1932-33.

Nel 1932, Breccia, dopo molte esitazioni, accettò la cattedra di Antichità classiche ed epigrafia, presso l’università di Pisa per il corso 1932—1933; nel 1935-1936 ebbe la cattedra di Storia Antica. Per sua designazione gli successe alla direzione del Museo di Alessandria A. Adriani (1905-82). Fra i suoi allievi pisani figura Sergio Donadofli, laureatosi con lui nel 1935 con un lavoro su Ossirinco, che lo sostituirà negli scavi di Antinoe dopo il 1937. Breccia rimase, tuttavia, collegato con L’Istituto Papirologico Fiorentino, quale titolare delle Missioni in Egitto del medesimo.

Infatti nel 1933-34 gli venne affidata la missione di scavo a Ossirinco e ad el-lliba. Nel 1934-35 la campagna ad El-Hiba fu, in effetti condotta da Enrico ParibenJ-. L’anno successivo 1935-36 venne ottenuta l’autorizzazione per lo scavo ad Antinoe che risulta esser stato eseguito da Breccia  Lo stesso dicasi per la campagna 1936-37. Pressoché a fine della campagna, Breccia si ammalò gravemente, essendo colpito, in modo improvviso da broncopolmonite bilaterale; il suo trasferimento al Cairo, all’ospedale Italiano, ha del fortuito ed accidentale, come spesso avveniva ed avviene ancor oggi in tali casi, la traversata del Nilo implicante un imprecisabile numero di ore, il percorso in taxi fino al treno, il tragitto di quest’ultimo regolato da orari del tutto improbabili. Medea Norsa che trovavasi allora al Cairo per contrattare acquisti di papiri lo assistette e comunicò tempestivamente le di lui condizione alla famiglia che si recò al Cairo per via aerea, cosa inusuale a quei tempi. I lavori sullo scavo furono portati a termine dal fedele Gino Beghé.

Dopo questa disavventura, che influì lui negativamente per alcun tempo sulla sua salute, sarà bene ricordare che l’esito di siffatte affezioni all’epoca era quasi sempre infausto, Breccia si sottrasse sempre, con estrema cortesia, alle insistenze di Medea Norsa, che morto Vitelli nel 1935, si occupava dell’Istituto, a riassumere la direzione effettiva degli scavi in Egitto, pur prestandosi sempre a figurare formalmente come direttore dei medesimi. Le successive campagne ad Antinoe furono quindi dirette in pratica da Donadoni (1937-38), da A. Adriani con Donadoni (1938-39), e nuovamente da Donadoni (1939-40). Donadoni, in un intervento dedicato a Breccia al Convegno “Ippolito Rosellini: passato e presente di una disciplina”, 1982, sembra non ritenere che la malattia contratta ad Antìnoe abbia potuto influire sulla decisione di questi di non rimetter piede in Egitto e che essa sia da ricercarsi in altri sopravvenuti interessi. Personalmente ritengo che una siffatta esperienza sia tale da togliere gran parte dell’entusiasmo nel rischiare di tentarne il ripeterla.

Negli anni 1939-1941 Breccia fu rettore della università di Pisa. Con l’avvicinarsi delle celebrazioni per il centenario della morte di Ippolito Rosellini sia l’Università di Pisa che quella di Firenze, nonostante il momento infausto, decisero di onorarne la memoria con manifestazioni distinte, delle quali Breccia si occupò attivamente. Gli eventi bellici portarono alla temporanea soppressione delle medesime ma non impedirono da un lato che, nel 1947, a Pisa si commemorasse il 104 anniversario della morte di Rosellini, con una mostra allestita da Breccia che faceva riferimento anche alle missioni di Schiaparelli e di Vitelli e che venne da questi presentata. Parimenti, dopo il termine del conflitto il previsto volume fiorentino dedicato alla memoria di Rosellini, venne immediatamente edito (1945) e Breccia si adoperò per la realizzazione di quello pisano, che vide la luce nel 1949. Il volume fiorentino si apre con la Commemorazione di Rosellini da parte di Evaristo Breccia.

E’ con questo omaggio di un profondo conoscitore dell’Egitto antico e moderno all’antesignano della nostra disciplina che mi pare coerente conchiudere in maniera circolare il ricordo di chi, tra l’altro, viene, unanimemente, accomunato, ancorché non fosse un papirologo, a Vitelli e Medea Norsa quale fondatore della moderna papirologia italiana.

Speriamo che non ci venga fatta eccessiva colpa del non essere riusciti a tratteggiare in forma completa la figura e l’opera di un grande maestro ma si vorrà ammettere che un tale privilegio è riservato solo a chi ha poco vissuto, poco sofferto e poco offerto.

 

 

di Pier Roberto Del Francia

BIBLIOGRAFIA

* In lettera di Breccia a Comparetti del 29 aprile 1913, invio di curriculum.

1- cfr. Claudio Barocas, Dizionario Bibliografico degli Italiani 14, pp.91 - 93

2- In pratica fino al 1910 quando alla guida della Missione Fiorentina subentrò il Padre Ermenegildo Pistelli - Nel 1910-11 Giulio Farina.

3- da BRECCIA E., Nuovi scavi nelle Necropoli di   Hadra, in “Bulletin de la Societé d’Alexandrie, N°25, Alexandrie” 1930

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fedecandelaresi@libero.it (Federica Candelaresi) Offagna Thu, 29 Oct 2015 16:03:21 +0000
LA STORIA DI OFFAGNA http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna/337-la-storia-di-offagna http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna/337-la-storia-di-offagna La storia di Offagna raccontata da Fabrizio Bartoli.]]> fedecandelaresi@libero.it (Federica Candelaresi) Offagna Thu, 29 Oct 2015 17:02:37 +0000 LE FESTE MEDIOEVALI DI OFFAGNA http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna/353-le-feste-medioevali-di-offagna http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna/353-le-feste-medioevali-di-offagna Le Feste Medioevali di Offagna sono una rievocazione storica che, dal 1988, animano il piccolo borgo
marchigiano trasformando ogni angolo in palcoscenico. Oggi sono uno degli eventi principali della
vita offagnese richiamando in 8 serate artisti da tutta Italia. Il successo di questo evento va però
ricercato nella sua storia, in tutte quelle innovazioni che negli anni sono state mescolate con la
storia e la tradizione per creare un magnifico dipinto della società quattrocentesca.

Tutto ha inizio alla fine degli anni ’80, quando alcuni Offagnesi, cavalcata l’onda dell’associazionismo
che li aveva portati a costituire la Pro Loco, decidono di dare vita alla “Contesa della Crescia”,
manifestazione che riprendeva la locale Sagra della Crescia e vi aggiungeva la storia di un'Offagna
quattrocentesca rivista con un occhio moderno. La città venne infatti divisa in 4 rioni e ad ognuno
vennero affidati dei colori distintivi, un’arma da tiro e un piccolo corteo in costume di figure tipiche
medioevali che sfilava con la delegazione ospite nelle due serate dell’evento.

Due anni dopo, l’evento si evolve e diventa “Feste Medioevali”: il programma della manifestazione
si arricchisce e accanto alla tradizionale sfida in armi tra i Rioni offagnesi compaiono nuovi
spettacoli, mostre e convegni uniti da un tema, filo conduttore della settimana di Feste, che
cambierà di anno in anno.


La vera svolta si ha però nel 1997 quando vengono riscoperti gli Statuti quattrocenteschi. È in questo
momento che le Feste Medioevali da manifestazione retta dai pilastri di spettacolo e cultura vedono
l’aggiunta di un terzo, la storia, vengono riqualificate e ottengono il grado di vera e propria
rievocazione storica.


Rileggendo gli Statuti infatti non solo tornano alla vita le figure tipiche della società quattrocentesca
(podestà, priori,...) ma emergono anche alcuni momenti caratteristici di quel periodo. Uno fra tutti
viene scelto come centro gravitazionale intorno al quale articolare la rievocazione: l’Offerta del cero.
Nella Rubrica 32 (titolo di una legge, così chiamata perché in genere scritto in ruber, rosso) si legge
che gli Anconetani, che all’epoca degli Statuti controllavano Offagna, ordinano che ogni anno iterritorio di Offagna offra dei ceri in occasione della Festa di San Tommaso, all’epoca patrono depaese. Viene inoltre ordinato che questa offerta venga fatta dalle mani dei massari e del podestà e vengono anche stabiliti i parametri del cero (peso e costo) ed è inoltre prevista una pena nel caso non avvenisse l’offerta. 

Scorrendo le pagine del corpus legislativo quattrocentesco si legge inoltre che sempre gli Anconetani ordinano solennemente che ogni territorio posto sotto il loro controllo nel proprio dì di festa, o festa del patrono, indica una gara tra balestrieri con un ducato d’oro come premio.

Questo è dunque il punto di partenza: la Festa del Santo Patrono, le cui componenti vengono poi
divise per tutta la settimana della rievocazione. Offagna diventa così un palco su cui si muovono le
figure del Quattrocento riproducendo alcuni comportamenti tipici del Medioevo. Va infatti ricordato
che la festa, e a maggior ragione la festa del Patrono, non rappresentava la normalità per la società
medioevale, ma al contrario una pausa dai ritmi tradizionali dettati dalla Chiesa e dal lavoro. In
occasione della festa infatti si aprivano le porte della città e si lasciava entrare una ventata di aria
fresca e di novità. Era in questo momento che quindi il borgo si popolava delle figure più strane
(acrobati, cantastorie con notizie da ogni parte del mondo conosciuto, mercanti di tutte le specie,...).

Il risultato oggi lascia senza parole: varcando le soglie del borgo il visitatore potrà respirare l’aria di
festa grazie agli artisti di strada che propongono i numeri più disparati pur di meravigliare e
incantare il proprio pubblico. Viene inoltre allestito un mercato che permette di apprezzare i
mestieri e le abilità artigianali di un tempo. Per le vie del borgo sfila poi il corteo medioevale curato
dai quattro rioni di Offagna che permette non solo di apprezzare la moda quattrocentesca, ripresa
con grande maestria delle sartorie rionali dai dipinti dell’epoca, ma anche vedere una fotografia
della società medioevale in tutte le sue classi: la Chiesa, la civica municipalità nella figura de
podestà, i quattro rioni con le famiglie nobili e le corti e, per ultimo anche se più numeroso, ipopolino.
Vengono anche rappresentati i momenti principali del dì di festa: l’Offerta del cero e la gara tra
balestrieri.

La Chiesa, non solo la rappresentanza storica ma anche quella attuale, è protagonista dell’Offerta
del cero che oggi non viene fatta dai 22 massari ma dai priori dei 4 rioni. Accanto a loro anche ipopolino reca i doni della terra al Parroco pro tempore che al termine consegna la sua benedizione
agli astanti.

La gara tra balestrieri è invece stata ampliata: oggi vede i quattro rioni sfidarsi in quattro armi (arco,
balestra, lancia, mazza ferrata) alla presenza di un arbitro e giudice unico. Il vincitore, il rione che
totalizzerà il maggior punteggio, potrà esporre il proprio pennone sul mastio della Rocca per un
anno intero, fino a quando cioè l’edizione successiva delle Feste Medioevali decreterà un altro
vincitore. Viene inoltre indetto un banchetto in onore del rione vincitore che si svolge rispettando ipiù possibile i canoni medievali. La tavola infatti è apparecchiata semplicemente: una tovaglia
bianca, un paio di posate e un bicchiere per commensale, nel Medioevo invece era usanza
condividere il bicchiere e mangiare con le mani. Anche i piatti serviti riprendono ricette medioevali
e vengono introdotti da due figure tipiche: lo scalco e il coppiere. Le portate sono anche
intermezzate da spettacoli di vario genere (giullari, musici, giocolieri, mangiafuoco e quant’altro)
perché il banchetto non era solo rivolto a soddisfare il palato ma a esaltare la ricchezza e la
magnanimità del padrone di casa. Nel banchetto che viene organizzato in occasione delle Feste
Medioevali è anche possibile assaggiare due specialità della rievocazione le cui ricette sono segrete:
il Dolce della Contesa, a base di pasta sfoglia, e il vino Moretum, il cui ingrediente principale come
si intuisce è la mora.

Parlando di specialità culinarie non si può non menzionare la Crescia, pane
povero preparato con lardo, farina, strutto e olio di oliva all’epoca diffusissimo sulle tavole, che può
essere mangiato come accompagnamento a un pasto o diventare piatto unico se gustata con le foje
(erbe di campo), salumi o formaggi. Da questa pietanza prende nome il cresciolo, moneta coniata in
occasione delle Feste Medioevali che ritrae da un lato la Rocca di Offagna e dall’altro un cavaliere
sul suo destriero, simbolo di Ancona, città cha ha costruito la Rocca. La creatività e la partecipazione
degli Offagnesi non si è fermata al cresciolo ma è sfociata nella nascita di due gruppi famosi a livello
nazionale e non solo: il Gruppo Tamburi Offagna e il Gruppo Sbandieratori.

Va poi ricordato che ogni anno le Feste Medioevali diventano il luogo di Investitura dei Nuovi
Cavalieri della Crescia, scelti dall’Accademia della Crescia sono personaggi che si sono distinti nesociale, nell’imprenditoria,...
Di anno in anno quindi l’interesse e l’attaccamento al proprio paese sono riusciti a intrecciare i fili
della storia nella trama dell’infaticabile voglia di fare degli Offagnesi, ottenendo con estrema
pazienza e grande passione un evento unico nel suo genere che lascia senza parole.


di Agnese Cariddi

www.festemedievali.it

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fedecandelaresi@libero.it (Federica Candelaresi) Offagna Sun, 01 Nov 2015 08:01:42 +0000
MUSEO DI SCIENZA LUIGI PAOLUCCI - Video http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna/362-museo-di-scienza-luigi-paolucci-video http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna/362-museo-di-scienza-luigi-paolucci-video

Museo di Scienza Luigi Paolucci di Offagna

Video prodotto dal Sistema Museale della Provincia di Ancona, 2011

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fedecandelaresi@libero.it (Federica Candelaresi) Offagna Thu, 05 Nov 2015 12:07:51 +0000
NEL GABINETTO SCIENTIFICO DEL NATURALISTA LUIGI PAOLUCCI http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna/334-nel-gabinetto-scientifico-del-naturalista-luigi-paolucci http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna/334-nel-gabinetto-scientifico-del-naturalista-luigi-paolucci La figura di Luigi Paolucci rappresenta molto onorevolmente un modello di studioso e naturalista reso possibile dalla stagione culturale e scientifica che caratterizzò l’Italia del secondo Ottocento. Sotto l’influsso del positivismo e dell’evoluzionismo, ma anche, come vedremo, di molti altri saperi recenti, la coltivazione della storia naturale locale aveva acquisito l’inedita funzione di valorizzare scientificamente la periferia del paese, appena unificato, con lo studio sistematico delle piante e degli altri caratteri del mondo naturale, con la catalogazione ed il confronto comparativo delle specie.

In quegli stessi anni un altro studioso marchigiano assai simile per formazione ed interessi, Tommaso Salvadori Paleotti di Porto San Giorgio, più anziano di quattordici anni, anch'egli medico, si dedicava con passione alla catalogaziene delle specie ornitologiche del Borneo, della Papuasia e delle Molucche nella sua veste di vicedirettore del Museo Zoologico di Torino (la sua collezione personale è oggi esposta al Museo di Villa Vitali di Fermo) e fu poi incaricato, tra il 1891 ed il 1895, di catalogare gli uccelli conservati al British Museum. Paolucci si dedicò tuttavia, per parte sua, potremmo azzardare a dire da esponente della nuova borghesia liberale, piuttosto allo studio ed all’inventario della fauna e della flora delle Marche, appena divenute una regione dell’Italia unita, come se avesse trasferito nel suo studio scientifico i valori del risorgimento.

Nato ad Ancona il 23 marzo 1849 da famiglia borghese, il padre veterinario anche lui ed appassionato naturalista, Luigi Paolucci studia al Regio Istituto Tecnico di Ancona e poi alla Scuola Provinciale di Veterinaria, dove diventa assistente del professor Francesco De Bosis, già alle prese con il progetto di un gabinetto di scienze naturali a scopo didattico che diverrà poi la principale occupazione di Paolucci dopo la laurea in medicina veterinaria, conseguita a pieni voti all'Università di Bologna nel 1870.

Il progetto del De Bosis diventa più ambizioso con Paolucci (che torna alla Scuola di veterinaria di Ancona come insegnante), ed è quello di allestire un museo regionale di storia naturale, ampliando le collezioni che va raccogliendo nel corso di ricerche condotte a partire dal 1873 e che continueranno fino al primo Novecento con la pubblicazione di molti saggi di botanica, zoologia, paleontologia, mineralogia e zoologia marchigiane (l'insuperata Flora marchigiana, l’Avifauna migratrice, Le piante fossili dei gessi di Ancona, I funghi mangerecci, Le pescagioni della zona italiana del medio Adriatico).

L'idea di raccogliere in un museo i vari aspetti salienti della natura regionale costituiva il corrispettivo naturalistico della più generale tendenza della cultura del tempo, rivolta a centralizzare e raccogliere le fonti della ricerca e dello studio nei più diversi campi indagine, dall’arte alla scienza naturale. Dopo aver subìto le spoliazioni napoleoniche mosse dal desiderio di concentrare a Parigi "il meglio" dell'arte europea, la cultura marchigiana aveva progettato ad esempio, in questi stessi anni, per iniziativa della Deputazione di storia patria e di Carisio Ciavarini, esponente della Commissione conservatrice dei monumenti, la costituzione di un Museo archeologico regionale e di un Archivio delle Marche nei quali conservare le fonti marchigiane più importanti, che faceva il paio con la pubblicazione dei documenti più significativi della storia marchigiana in una Collezione di documenti storici antichi inediti ed editi rari delle città e terre marchigiane (S. Severino Marche, 1868-1884). La "collezione", come il museo, dovevano offrire infatti agli studiosi la possibilità di rappresentare, secondo un ordine didatticamente utile, le fasi storiche genetiche del fenomeno studiato e, in questo modo, ripristinando in laboratorio una natura (o una cultura) sistematizzate ed ordinate, ne avrebbero permesso lo studio organico e comparativo.

Questo atteggiamento svolgeva anche una funzione vicaria dell'esperimento: il museo era divenuto il tempio della nuova scienza sperimentale, fondata sui "reperti" della natura che andavano ricollocati, in laboratorio, al loro specifico "stadio" classificatorio.

Lo studio della realtà naturale marchigiana è, infatti, per Paolucci, sostanzialmente una ricerca sul campo; oltre a svolgere un'intensa attività professionale come veterinario, introducendo, nel più classico spirito positivistico, nuove attenzioni igienico-sanitarie nel trattamento degli animali, Paolucci fa parte della Commissione consultiva caccia e pesca del Ministero dell'Agricoltura, raccoglie un "erbario marchigiano", osserva e studia, con lunghe postazioni, il canto degli uccelli del monte Conero e sostiene con determinazione l'importanza didattica del contatto con la natura, accompagnando i propri studenti in piccole spedizioni, portando seco un recipiente, un buzzigo, come lo chiama in dialetto anconitano, nel quale conserva i preziosi reperti raccolti.

Le sue indagini applicano alla natura marchigiana i principi ed i fondamenti della scienza allora più alll’avanguardia: l'evoluzionismo darwinista, riscuotendo consensi e riconoscimenti dall’Accademia dei Lincei a "Les amis des sciences naturelles de Rouen ", fino ad intessere uno scambio epistolare con lo stesso Darwin, che si mostra positivamente impressionato dei suoi numerosi lavori (tra il 1876 ed il 1929 Paolucci svolge la funzione, elettiva, di consigliere sanitario provinciale; è assessore al Comune; dal 1881 direttore della Scuola provinciale di veterinaria).

La passione per la scienza sperimentale condiziona, negli scritti di Paolucci, anche lo stile classificatorio al quale egli si ispira. Nella sua attenzione per la ricerca delle cause dei fenomeni, Paolucci è molto più vicino a Cuvier che a Linneo; è propenso cioè a ricercare non tanto una classificazione nominalistica (cioè fondata prevalentemente sui nomi delle specie) del vivente, come rischia a volte di essere quella linneiana, quanto a puntare su una sistematica delle funzioni organiche, in ragione delle quali va organizzata la classificazione. L'obiettivo è dunque ricercare le funzioni degli organi e, attraverso una efficiente analisi anatomo-fìsiologica, organizzare il mondo secondo un ordine naturale dalle specie più semplici a quelle più complesse, a loro volta testimonianza di fasi evolutive diverse della natura. "Noi sappiamo come nella istituzione della specie – sostiene nel saggio illustrato Nuovi materiali e ricerche critiche sulle piante fossili terziarie dei Gessi di Ancona (Ancona 1896, p. X-XI) – sia indispensabile imporsi dei limiti nella valutazione dei caratteri differenziali, per non raggiungere i deliri di certi micromorfomani che, centuplicando i nomi della sistematica, col disconoscere tutto il grande e sapiente valore della scuola linneiana, condussero la storia naturale in un labirinto spesso inutile, molte volte dannoso alla scienza".

Accanto a questo atteggiamento sospettoso verso le classificazioni fatue, verso i nomi, gli aggettivi sistematici privi di corrispondenza funzionale, Paolucci rivela tuttavia anche una grande fascinazione per la poesia ed il linguaggio. Secondo una tradizione pedagogica allora diffusa, il giovane Luigi Paolucci aveva tenuto, sin dall'età di quattordici anni, un diario dei propri piccoli fatti domestici, sviluppando una certa sensibilità per la scrittura e per l’annotazione sistematica (terrà per tutta la vita un diario meteorologico e proseguirà, per il figlio Carlo, nato nel 1884, un'analoga registrazione quotidiana che chiama, significativamente, Rose e spine). Tra il 1866 ed il 1867, in pieno romanticismo, aveva scritto componimenti in stile foscoliano (Ode ad Adele Baiguerra, morta d'anni ventidue, Gli italiani, La morte di Ugo Foscolo, L'addio) e tradotto dal greco moderno una Grammatica dell'antica lingua greca di Teofito Bamba.

 

Nel periodo di studio universitario della medicina, a Bologna, Paolucci aveva preso a frequentare anche un corso di sanscrito per una passione naturale verso lo studio delle lingue che apprendeva con grande facilità, erroneamente considerata una sorta di "stranezza" della sua mente creativa e geniale. In realtà, a ben intendere il pensiero scientifico di Paolucci, la passione per il linguaggio e le lettere è parte costitutiva del suo interesse per la natura. È infatti la geologia e la paleontologia, oltre all'anatomia comparata, che gli studi linguistici del XIX secolo prendono a modello, identificando il linguaggio con la sedimentazione stratificata della storia della terra, dalla quale emergono le glosse e le etimologie che, come le ammoniti, contengono le tracce della storia.

Il linguaggio viene inteso, per contro, dai teorici della lingua proprio come un organismo vivente, come una struttura organica dotata di un proprio vitalismo che funziona e si modifica nel tempo in profonda relazione con l'apparato fonetico e le condizioni anatomiche delle specie.

I linguisti contemporanei di Paolucci, Schleicher, Bopp, Humboldt e Müller prendono a modello dei loro studi e delle loro classificazioni le scienze naturali e le teorie evolutive proposte da Darwin. Scleicher pubblica, nel 1863, a pochissimi anni dalla edizione dell’Origine delle specie, il suo libro La teoria darviniana e la scienza del linguaggio. Non c'è dunque da meravigliarsi se il giovane studente di veterinaria Luigi Paolucci legga con passione i libri del filologo ed indianista Max Müller che introducono, sulla scia delle teorie di A. Schleicher, ad una filosofia e scienza del linguaggio impregnate di naturalismo e di estetismo paesaggistico. "Vi è una scienza del linguaggio – sostiene Müller nelle sue Letture sopra la scienza del linguaggio (Milano 1870, Treves, p. 46) – come vi è una scienza della natura della terra, dei suoi fiori, delle sue stelle. Il linguaggio è così un organismo che si evolve, è pregno di un dinamismo che lo rende dialettico, altrettanto della natura di cui è parte e, in qualche modo, specchio".

Paolucci interpreta ed utilizza in senso creativo anche questa sua passione di dilettante linguista; non si limita infatti a tradurre grammatiche greche e spagnole (nel 1926, nove anni prima di morire, scrive Voci e modismi ad uso degli italiani per parlare e scrivere correttamente la moderna lingua spagnola, ma nel 1923 aveva scritto uno Studio comparativo teorico- pratico sulla morfologia, fonetica e fraseologia della lingua spagnola, rimasto inedito, di cui si parla nel numero de "La voce studentesca" del giugno 1923, dedicato al cinquantenario del suo insegnamento), ma si cimenta in una impresa che fa pensare un po' al "meraviglioso" scientifico di Giulio Verne e che si incentra nel tentativo di studiare con metodo il canto degli uccelli alla luce delle più recenti ed innovative teorie linguistiche. Ancora una volta Paolucci sfrutta l'habitat naturale delle sue Marche per sottoporre il canto dei volatili ad una rigorosa classificazione (analisi comparata dei suoni e degli apparati fonatori; scansione del suono in tempo e timbro; classificazione dei vari registri timbrici: molle, acuto, aspro, trillante), passando le sue giornate ad ascoltare i gorgheggi dell’avifauna di passo al monte Conero.

La natura svolge qui la funzione del laboratorio: è il “monte d'Ancona”, con la sua rendita di posizione geografica, ad assumere il ruolo già affidato al suo museo naturalistico nel quale è possibile studiare i fenomeni e confrontarli reciprocamente.

Il confronto e lo studio all'aria aperta danno anche seri e concreti frutti scientifici; anzi producono una pubblicazione che potrebbe essere definita uno straordinario messaggio di "poesia scientifica" o di "scienza della poesia" nella quale Paolucci si rivela pensatore non provinciale, in sintonia con i grandi temi ed i grandi interessi culturali del suo tempo (penso agli studi sulla genialità di Lombroso, al saggio di Marie Bonaparte sulla poesia e le manie di Edgar Allan Poe ed a quelli, forse più vicini, del recanatese Mariano Luigi Patrizi sulla genialità malinconica di Leopardi): il suo Il canto degli uccelli (Note di fisiologia e biologia zoologica in rapporto alla scienza sessuale e alla lotta per resistenza, Milano 1878).

 In questo trattato Paolucci si arrischia persino a sostenere una sua tesi originale che pone in collegamento gli organi funzionali dei volatili con il suono da loro emesso, ed entrambi i fenomeni, nel loro modificarsi, con lo spirito di adattamento delle specie al cambiamento delle condizioni naturali, in maniera del tutto analoga con quanto succederebbe nel comportamento umano.

A fondamento della sua tesi pone il principio di differenziazione, cioè la scala di progressiva efficienza e specializzazione degli organi fonatori che appare man mano che si procede, lungo l'albero zoologico, dagli animali più antichi ai più recenti, e la legge della sostituzione funzionale, che agisce "quando un animale, per insufficienza biologica, non potendo eseguire due o più atti di relazione con mezzi diversi, li eseguisce con un mezzo solo, che sostituisce tutti gli altri dell’animale più perfetto".

I suoi interessi naturalistico-linguistici proseguono ancora con lo studio delle etimologie dei nomi degli animali e delle piante, alla ricerca del rapporto preteso, ancora una volta, tra la funzione medicamentosa o estetica e la codifica del loro nome. Nel 1927-28 pubblica, infatti, Sul significato dei nomi volgari attribuiti agli animali e alle piante (Rocca San Casciano). Sono gli ultimi lavori, che Paolucci compila nella casetta di Massignano, alle pendici del Conero, dove si è trasferito dopo la morte della moglie e il collocamento a riposo dall'insegnamento, avvenuto nel 1923, e dove continua la sua vivace attività saggistica, per lo più rimasta inedita (L'escursionista botanico italiano, I giardini d'Italia), di impegnato naturalista, antesignano di quel progetto di Parco del Conero – ideale recupero del suo museo-laboratorio vivente – che vedrà la luce solo più di cinquant'anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1935.

Ed è in questa veste, poetica ed impegnata, tenace ma tenera, che la scrittrice Joyce Lussu, ambientando una geniale detective-story della quale è protagonista un inedito Sherlock Holmes alle prese, nel 1908, con una vicenda di spionaggio internazionale (Sherlock Holmes. Anarchici e siluri, Ancona, il lavoro editoriale, 1982, rist. 2000), lo ritrae disponibile ed ospitale collaboratore del grande investigatore inglese, tra le grotte ed i pianori del monte Conero già studiati dal suo vecchio maestro Francesco De Bosis, impegnato a contribuire originalmente alla soluzione di un caso, destinato, per ragioni di stato, un po' come la sua vita, a restare nell'ombra.

 

 

di Giorgio Mangani

(Edito in Il Museo di scienze naturali “Luigi Paolucci”. Guida alla visita, Ancona, 2006, Sistema Museale della Provincia di Ancona, pp. 5-12)

 

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fedecandelaresi@libero.it (Federica Candelaresi) Offagna Thu, 29 Oct 2015 15:49:16 +0000
“OFELIA”, “MISTERIOSA PRESENZA” NELLA ROCCA MEDIOEVALE http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna/371-ofelia-misteriosa-presenza-nella-rocca-medioevale http://www.lamemoriadeiluoghi.it/index.php/offagna/371-ofelia-misteriosa-presenza-nella-rocca-medioevale Il mistero della Rocca

di Tristano Cairola

E' giovedì 23 Luglio 2009, serata della cena medievale allestita nella Piazza della Contesa durante le Feste Medievali e per l'occasione la rocca rimane  aperta dalle ore 17,00  alle 24,00.
L'affluenza dei visitatori è ininterrotta (600 persone circa) per cui si decide, alle 23,45,  di non far più entrare altri visitatori e di chiudere l'ingresso.
Ultimi ad  entrare, prima di chiudere la porta, sono due ragazzi e una ragazza a cui raccomandiamo di compiere la visita con una certa celerità, vista la tarda ora.
Nel frattempo scendono ed escono i visitatori che erano già all'interno.
Ad un certo punto questo flusso si esaurisce e pensiamo quindi che siano rimasti all'interno solo i tre giovani entrati per ultimi.
Nel frattempo vediamo il tunnel che divide la sala del pozzo dal cortile attraversato da una figura femminile, alta, esile, capelli castani lunghi fino alla spalla, con un vestito lungo verde chiaro.
Subito pensiamo che sia una visitatrice attardatasi un po' troppo.
Dopo circa 10 minuti scendono i tre giovani entrati per ultimi che ci ringraziano ma, prima  di salutarli chiediamo loro quante persone possano ancora esserci all'interno. Ci rispondono che c'è ancora una signora che hanno visto percorrere il camminamento di ronda.

Ci salutiamo e attendiamo l'uscita di questa signora ritardataria, ma invano.
A mezzanotte e mezzo cominciamo a preoccuparci.

Un malore, una caduta per le scale, qualcosa può essere accaduto, visto il ritardo. Decidiamo quindi, di risalire i cinque piani fino al terrazzo per verificare cosa sia accaduto, ma non troviamo nessuno.
Pensiamo perciò anche al peggio, ad un suicidio con un volo da 40 metri ma, ad un controllo effettuato non ci risulta nulla di tutto ciò.
Andiamo quindi in Pro Loco per riferire l' accaduto, ma non siamo creduti: si pensa ad uno scherzo o che siamo in preda ai fumi dell'alcool, altrimenti avremmo dovuto portare la testimonianza dei tre giovani che avevano visto la signora, ma che purtroppo non conoscevamo.
Ma ecco che, dopo 5 mesi e per un caso fortuito, incontriamo uno dei tre giovani, ultimi ad uscire dalla rocca: si chiama dott. Iacopo F., agronomo di Camerano e conferma quello che il gruppo ci aveva riferito all'uscita della Rocca.
Questa testimonianza è una dimostrazione della veridicità del nostro racconto.

Ciò potrebbe bastare per convincere tutti  che quella sera non eravamo né ubriachi né in preda ad allucinazioni.
Altri fenomeni inspiegabili si sono susseguiti all'interno della rocca, alla presenza di altre persone.

“Ofelia”, fantasma o frutto di suggestione?

Apparizione improvvisa di una “figura femminile, alta, esile, capelli castani lunghi fino alla spalla, con un vestito lungo verde chiaro”.

Il nome Ofelia, attribuito da un giornalista di Rai 3 Marche, in occasione del TG itinerante ad Offagna, deriva appunto dal colore dell’abito che questa “figura” indossa, nelle sue due apparizioni, molto simile al colore degli abiti con i quali, nei vari dipinti, viene rappresentato il fantasma di Ofelia dell’Amleto di Shakespeare.

Ulteriore caratteristica di questa “presenza” è il suo “materializzarsi o manifestarsi” improvvisamente in occasioni particolari quali: Feste Medioevali, riprese televisive all’interno della Rocca o visita di gruppi rumorosi.

Il che fa supporre che in queste circostanze viene “turbata la tranquillità” del luogo.

Dopo la prima apparizione durante le Feste Medioevali di alcuni anni fa, nel corso degli anni, due altre apparizioni, ma tantissime “manifestazioni”: - rumori di passi sulla scala di accesso al terrazzo del Mastio; - porte a vetro pesanti, nella “Sala dei Ponti Levatoi”, che sbattono, in pieno giorno ed in assenza totale di vento; - rumori simili a spostamento di mobili in alcune sale, ma gli unici arredi, pesanti teche con reperti in mostra, sempre nella stessa posizione, ma, soprattutto, assenza di visitatori o personale nelle suddette sale.

In quella che è definita la “Sala del Pozzo”, due turisti hanno riferito di aver sentito provenire dal pozzo una “voce sommessa” che per due volte chiedeva aiuto.

La Rocca con tutto il suo fascino è luogo scelto da molte coppie di sposi per immortalare questi momenti unici. Nella foto di una sposa offagnese la sorpresa… il velo del suo abito sollevato verticalmente su di lei in assenza di vento.

Questi alcuni dei numerosi segni particolari di un’eterea manifestazione, sempre con un denominatore comune: la “tranquillità del luogo viene turbata” e presente il responsabile Pro Loco della Rocca il dott. Tristano Cairola.

L’anno successivo al primo “incontro”, Tristano si accingeva a chiudere la porta della segreta, a conclusione dell’orario delle visite pomeridiane, quando dalla vicina porta di accesso al cortile interno della Rocca compariva una signora, sempre abbigliata con un vestito verde, alla quale Tristano comunicava che doveva rinviare la visita. La signora, senza proferire parola, si allontanava ed entrava nella vicina “Sala del Pozzo”, proprio di fronte all’ingresso del cortile. Tristano, scendendo dalla passerella che conduce alla segreta, si recava immediatamente nella “Sala del Pozzo”… vuota!

Unica eccezione, assente Tristano, una notte, durante le Feste Medioevali del 2015. Due falconieri, che, nella piazza del Maniero, si apprestavano a sistemare nelle apposite gabbie i rapaci notturni, vedevano nel camminamento di ronda, negli spazi liberi fra un merlo e l’altro, passare una figura non identificabile e ritenendo che fosse una persona rimasta chiusa all’interno della Rocca avvisavano la Pro Loco affinché si provvedesse a farla uscire. Venivano effettuati opportuni accertamenti e valutato che, l’eventuale malcapitato, restato chiuso all’interno, avrebbe chiesto aiuto ben prima e non a distanza di qualche ora dalla chiusura. Difatti, il giorno successivo, all’apertura della Rocca, ovviamente, nessuno aveva trascorso la notte all’interno!

“Ofelia”, fantasma o frutto di suggestione?

 

di Maurizio Brucchi e Tristano Cairola

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fedecandelaresi@libero.it (Federica Candelaresi) Offagna Wed, 18 Nov 2015 06:49:04 +0000